venerdì 30 novembre 2007

AMNERIS, CHE MORI' DI POESIA / testimonianze


Nardò, Besa, 2007
Disegno di copertina di Maria Berto











TESTIMONIANZE

Caro Alfredo, stanotte ho terminato di leggere Amneris: trama originale e coinvolgente, capacità interpretativa eccellente e sconvolgente, tenuto conto che sei un uomo che interpreta e caratterizza una donna. Ho pensato a tua suocera, la mamma di Mina, quando ho cercato di associare di fantasia la fonte della tua ispirazione. Forse a una sua parente. Mi svelerai tu il mistero, mia penna alata, intanto sappi che mi è piaciuto molto il tuo romanzo e la tua capacità di narrare in prima persona senza mai stancare nè ripeterti, con quella vena di realismo e dignità degna solo di un grande.
                                                                                             Raffaella Verdesca (facebook)
25.09.2012

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Lettera [manoscritta] di Luna Cacchioli, universitaria

[Civita Castellana] Ore 15,45 / 31 dicembre 2006
Ciao Alfredo!
Lo so, penserai che è davvero insolita questa mia idea di scriverti una specie di lettera! Ma forse tu, più di me, sai che quando arriva dentro il bisogno di scrivere, non si può fare altro che cercare un foglio…
Ti scrivo perché ho appena finito di leggere il tuo ultimo libro e volevo innanzi tutto dirti GRAZIE. Grazie per avermi regalato dei momenti unici tra quelle pagine.
Quando ho deciso che avrei fatto la facoltà di Lettere, erano tanti i motivi, ma sicuramente uno dei principali era la convinzione della bellezza della lettura e della scrittura.
Un libro che si ama è come un mondo in cui ci si può rifugiare quando il mondo che sta intorno sembra un po’ scomodo…
Mi hanno fatta innamorare tanti libri ed il tuo è uno di quelli. È per questo che la prima cosa che voglio fare è ringraziarti di questo dono. È come un regalo, un regalo che fai a me e a tutti quelli che come me sogneranno tra le tue pagine. Non capita poi spesso di trovare un libro che racconti un pezzo della tua città, della tua famiglia. E credo tu abbia avuto una splendida ispirazione. La mia è una opinione come tante, ma per quello che posso dire…io credo che tu abbia tirato fuori non solo una vita, la storia di una vita, ma tutto l’amore che hai dentro…
Il tuo libro non parla soltanto di una morte di poesia, ma di un’intera vita di poesia, ed è dunque poesia esso stesso. L’ho letto tutto d’un fiato, come si dice! Tra stupore, curiosità, risate e poi commozione! Mi hai trascinato tra le emozioni di mia nonna e mi hai permesso anche di poterla ricordare non solo attraverso le tue parole, i tuoi pensieri, la tua poesia. Il romanzo di una vita. Ti mando un bacione e sono certa che le tue parole resteranno nel mio cuore e in tanti altri. Ti voglio bene,
Luna
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Lettera [via e-mail] di Fabrizio Scarponi, laureando
Civita Castellana, 24.01.07
Salve Alfredo,
dopo pranzo Gigi Cimarra [il prof. che presenterà il libro e che ha preparato una recensione] mi ha prestato "Amneris, che morì di poesia"; devo fare la scansione della copertina per la Gazzetta Falisca [mensile del luogo]. Ho iniziato a leggerlo e l´ho fatto tutto d´un fiato, ho smesso un paio di volte, per un pezzetto di crostata e per guardare la grandine.
L´ho trovato bello, intenso, la trama è un crescendo di emozioni con fremito finale. E che bella lingua il civitonico! Scorre che è una meraviglia. Io scriverei sempre così. "Parla come magni" si dice: e perché no "scrivi come parli"?
Purtroppo è raro poter ringraziare uno scrittore, sia perché non s´incontrano sempre bei libri e soprattutto perché non si riesce ad avere un contatto diretto con l´autore. Fortunatamente questa volta posso farlo: grazie, grazie davvero!
Complimenti,
Fabrizio
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Lettera di Elisabetta Forte, funzionaria Beni Culturali Regione Lazio

Roma, 10 giugno 2007

Carissimo Alfredo,
spero che mi perdonerai il ritardo con cui scrivo queste poche righe (dopo averle annunciate!) sulle emozioni che la lettura del tuo romanzo mi ha provocato, che, va detto, mi è piaciuto tantissimo, proprio tantissimo!
E' un libro in cui sono entrata piano, per poi aderire, senza condizioni, al vissuto dei personaggi.
Mi è piaciuto e mi ha colpito la scelta dei luoghi, che forse è anche il tuo appartenere, oggi, un po', anche alla terra viterbese, senza escludere ed eludere le origini e la provenienza.
E poi lo scrivere per una donna, alla maniera di una donna, mi ha fatto sentire Amneris vicina, intrigante, interessante e semplice. Maschia, ma mai maschile, vera, senza esasperate modernità impossibili nel suo contesto.
E poi che bello ritrovare il gusto della favola, come deve essere per i piccoli e non solo, in una rete di vissuto e di fantasia, da cui si esce e si entra senza ostacoli, ma anche senza bugie su quella che è la realtà.
un caro saluto e grazie (e aspetto di leggere presto il prossimo!)

Elisabetta
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Elena Mozzetta sulla Voce di Viterbo l'8 feb. 2008. Nella foto legge allcuni brani di Amneris al Centro Anziani di Soriano nel Cimino.

E-mail di Elena Mozzetta, attrice e regista di teatro

13 aprile 2007
Gentilissimo... Romano,
ho finito di leggere il suo libro "Amneris, che morì di poesia" per la
lettura da fare il 14 aprile a Soriano presso il centro anziani e mi
farebbe piacere prima confrontarmi con lei per la scelta dei passi.
Mi ritorna alla mente un mondo a me famigliare: il paese, gli odori dei
campi, la musica popolare, le storie dei miei nonni...
Forse sarà il caso di vederci se non le costa tempo.
Mi farò sentire telefonicamente
Elena

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E-Mail di Maria Grazia Dandolo, bibliotecaria di Valentano
16 otobre 2007

Caro Alfredo,
ho comprato il tuo libro per la biblioteca e posso dirti che chi lo ha letto lo ha gradito molto. Io devo riconoscere che non ho ancora avuto il tempo di leggerlo, ma non disperare.
Un abbraccio forte
Maria Grazia

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Lettera manoscritta di Giorgio Mario Bergamo, scrittore di Mestre (Venezia).
Ha pubblicato con Einaudi, Cappelli e Mursia.
24 gennaio 2008

Caro Alfredo,
mi rallegro vivamente per "Amneris, che morì di poesia" e che ho letto tutto d'un fiato tanto mi è piaciuto il tuo uso del romanesco così elegante da apparire diretta manifestazione di una discendenza... latina. E anche il volume sulle tradizioni e storie salentine mi sembra ottimo, equilibrato, gustoso, capace di proiettare il lettore in una full immercion fin nei meandri di quelle vite di provincia profonda che tu [...] rappresenti dal vero. Tutto il nostro...
Giorgio Mario Bergamo

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E-Mail del 28 gennaio 2008 da Andrea Moroni, insegnante e musicista di Arcugnano (Vicenza). Andrea, negli anni '60-'70, faceva parte del complesso, rinomato allora, dei "Nuovi Angeli".


Caro Alfredo
"Amneris" mi è molto piaciuto ma già ti conoscevo come scrittore e amico e non avevo dubbi.
Un bacio a voi da parte di tutti noi

Andrea

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From: Faudella Giorgio 
To: affretu@alice.it
Sent: Wednesday, September 16, 2009 8:14 PM
Subject: Amneris, che morì di poesia
/
Salve Alfredo,
sono Giorgio di Modena. Ho avuto il piacere di leggere Amneris che morì di poesia. Volevo farLe sapere che ho trovato il libro una romantica cavalcata attraverso un'intera epoca che ormai si è estinta; è stato istruttivo percepire lo stile di vita che realmente hanno vissuto sulla propria pelle i protagonisti di un'epoca che a distanza di poche decine di anni si è completamente rivoluzionata. Nonostante le difficoltà economiche dell'epoca però trasuda una inevitabile essenzialità e praticità che il mondo di oggi ha perso completamente. Mi è piaciuta la positività e la cocciuta determinazione di questa eroina che si esprime con un colorito e romanesco accento. Ho apprezzato l'originalità della trama e della maniera di farla raccontare dall'aldilà... Il Suo modo di scrivere mi ha "tirato dentro la storia" mi sono sentito come il cameraman che riprende la scena in diretta ed è testimone degli avvenimenti che si svolgono. Non mi è capitato spesso.
Complimenti ancora e ringrazio per il bel viaggio che mi ha offerto in compagnia di Amneris.
Cordialmente
Giorgio Faudella
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Recensione di Luigi Cimarra apparsa sulla Gazzetta Falisca di Civita Castellana, sul Galatino di Galatina e su Biblioteca e Società di Viterbo nel 2007

L'ultima fatica letteraria di Alfredo Romano, "Amneris, che morì di poesia" (Nardò, Besa Editrice, 2007) è comparsa alla chetichella, senza clamori. Ma è bastato il passaparola per fare diventare il romanzo un caso letterario a Civita Castellana, dove, almeno 250 copie, sono state già vendute. E sì, perché il libro si scorre tutto d'un fiato. I motivi sono diversi: intanto si tratta di un romanzo breve (107 pagine in tutto), potremmo definirlo di genere biografico; la protagonista unica (ma il romanzo non è un monologo) è Amneris, una donna civitonica; lo strumento linguistico adottato è l'italiano parlato dove affiorano voci dialettali.
La vicenda avvince, perché l'io narrante è la donna stessa, che partecipa il suo vissuto, si dedica al suo lettore-ascoltatore con passione e passionalità. Ma queste osservazioni sintetiche necessitano di alcuni chiarimenti: Romano, che è civitonico di adozione e di elezione, non ha inteso scrivere una biografia in senso stretto, né ha avuto ìn mente, come modelli eventualmente da imitare, opere più note di questo genere letterario.
La trama narrativa è lineare, in sintonia con il personaggio, non opera forzature, non lo trasfigura o idealizza, ma ne coglie l'essenza, i sentimenti, gli affetti e le aspirazioni. A mio avviso uno dei pregi maggiori del romanzo è quello di non aver caricato né il personaggio, facendone un paradigma o una donna engagée ante litteram, né la lingua, inserendo preziosismi letterati o, per altro verso, espressioni icastiche (frasi idiomatiche, dialettismi desueti, citazioni di proverbi e detti, riferimenti insistiti ad usi e costurni tradizionali) per caratterizzare la donna e il contesto sociale.
La forma è quasi un italiano regionale. Suppongo che, per conseguire questo risultato, Romano abbia sottoposto il testo ad un lungo ed assiduo lavorio di vaglio e selezione. Non si tratta dunque di un ibrido linguistico, ma di un impasto organico, lievitato dalla fantasia. E' dunque pane buono. I civitonici avranno la sorpresa dì ritrovare luoghi a loro familiari, scorci di paesaggio, riferimenti a spazi cittadini, dove la vicenda si svolge e dove loro quotidianamente si muovono. Riconosceranno nella protagonista una dì loro, vi ritroveranno se stessi. Amneris è una donna del popolo, ha un intelligenza pronta, ama la vita, ama la poesia, ama l'amore, il 'suo amore', l'uomo che ne segna nel bene e nel male il destino, che è il suo sole e la sua ombra scura. Non si tratta di un'eroina, ma di una donna in carne ed ossa, istintiva e spontanea, di tempra forte e tenace, capace di reagire alle difficoltà, alle vicissitudini, piena di slanci, che non si arrende mai.
E' portatrice, seppure non sia religiosa, di valori etici: il lavoro e la famiglia, la dignità dell'essere umano, il senso di giustizia, la fedeltà al suo uomo, di cui è innamorata fino ad odiarlo, quando subisce il tradimento. Ma lei non cessa, per tutta la vita, di amare la poesia, la ama con avidità e desiderio: ascolta e legge, impara e ripete, nonostante la sua condizione sociale, come avveniva un tempo in tutte le famìglie povere, le avesse impedito di portare a termine la scuola elementare. Soprattutto insegue un canto, quel canto che aveva sentito recitate nel vicinato da un poeta girovago, un componimento di Lorenzo Stecchetti, alias Olindo Guerrini, II canto dell'odio. Certo, odio e amore... due sentimenti consecutivi. E il componimento diventa quasi l'emblema della sua vita e... della sua morte.
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Presentazione “Amneris, che morì di poesia” sabato 17 marzo 2007
Sede dell’Upte (Università popolare di Viterbo)
Relatori: il prof. Luigi Cimarra di Civita Castellana e l'avv. Carmelo Ratano di Viterbo.
Coordinatore: il prof. Quirino Galli di Viterbo
[Traccia discorso di Alfredo Romano]
Ero lì quella sera quando Amneris, prima di lasciarci per sempre, ci salutò con una lunga poesia. Ricordo la forza, il tono, il ritmo con cui ce la recitò. Erano presenti tanti bambini quella sera: erano i suoi nipoti che, come tutti i bambini, erano stati vocianti e irrequieti durante la cena, ma, quando Amneris iniziò a declamare, anche loro si zittirono, come ipnotizzati dal prodigio della poesia che come onda impetuosa travolgeva la quiete di una sera.
Non ho dimenticato. Promisi che avrei dovuto renderle omaggio un giorno. Quell'omaggio è arrivato. Amneris era una madre di famiglia come tante altre, di quelle mamme che avevano tirato su i figli e il marito in silenzio, rassegnate alla loro sorte e al loro ruolo di abnegazione; di quelle mamme che avrebbero meritato un monumento in piazza e che non l'hanno avuto mai solo perché, magari, non hanno fatto il soldato e non sono potute morire per la patria. Sono state eroine tra le pareti domestiche, però, nell’attesa di vedere i figli sistemati. Ai figli non auguravano di diventare ricchi, ma il necessario: un buon lavoro, un buon matrimonio, essere contenti e vivere in armonia con la propria famiglia.
Il libro l’ho cominciato a scrivere a mano un’estate di quattro anni fa, al mare, a Diamante. Lì non avevo il computer. Avevo iniziato a scrivere in terza persona, in lingua italiana, ma dopo qualche pagina, rileggendo, capii che così non andava, non mi dava l’idea di un racconto popolare che avevo in mente di scrivere. Ero in panne, qualche giorno di smarrimento, poi: ma che stupido, mi sono detto, faccio raccontare ad Amneris stessa la propria storia. E così è stato. Ma dal momento che, scrivendo, ascoltavo la voce di Amneris, è stato spontaneo farla raccontare in dialetto. Non un dialetto strettamente civitonico, però, ma un dialetto un po’ cinematografico: tra l’italiano, il romanesco e il civitonico. Insomma mi sono inventato un linguaggio per Amneris, ma sempre al fine di dare al suo raccontare un tono popolare.
Ma tono popolare, per chiarirci, non significa che per me sia stato più facile. L’uso del dialetto mi ha costretto a limitare in qualche modo il bagaglio espressivo che uso quando scrivo in italiano. Perciò ho dovuto puntare su un linguaggio parlato (apparentemente parlato), con un ritmo narrativo ed espressioni di genere che potessero essere di grande efficacia.
Adesso potreste dirmi: Ma tu sei un salentino, come hai potuto fare! Avete ragione, io non parlo il dialetto civitonico, ma, se permettete, lo ascolto da 40 anni quasi, quindi è una lingua familiare per me ormai, anche se non ho la padronanza che hanno i civitonici, per non dire quella del mio sodale Luigi Cimarra che non si è tirato indietro nel risolvermi più di qualche dubbio.
Ho impiegato quattro anni a scrivere il libro. Non ho mai fretta di pubblicare quando scrivo, lascio sempre decantare la bozza per qualche tempo e, quando la riprendo, riesco a osservare il mio lavoro con distacco, a osservarlo con gli occhi di un altro. I libri sono come dei figli, hanno una gestazione anche più lunga. Io, quando scrivo, mi flagello, è un continuo limare e limare, non sono mai soddisfatto. Poi, un bel giorno dico: adesso è proprio bello! E lo licenzio.
Ma io non so essere manager di me stesso. Ho pubblicato libri che non hanno goduto di una presentazione, semplicemente perché non mi sono dato da fare. Ho come un po’ di pudore. Per gli ultimi due libri, è stato il mio sodale prof. Cimarra a propormelo e io ne sono stato felice. Per non dire che la presentazione di oggi è stata un’idea del prof. Quirino Galli, persona che stimo e conosco da tanti anni, da quando, un 30 anni fa, venne a intervistarmi sulla storia e la condizione dei salentini di Civita Castellana.
Il 14 aprile prossimo ci sarà un’altra sorpresa: un’attrice di teatro, Maria Elena Mozzetta, leggerà in pubblico, a Soriano, alcuni brani di Amneris. Le è capitato di leggere il libro per caso e le è nata l’idea.
Ci vuole molta umiltà quando si scrive, vivere la storia che man mano si dipana, farsi venire la febbre, uno stato di grazia, amare i personaggi che stai creando, anche quelli che sembrano negativi, che, in fondo, sono sempre tue creature: come un padre che non disdegna di amare un figlio scellerato.
E, se volete, in ognuno dei personaggi della storia di Amneris, c’è un po’ di me: mi nascondo tra le pieghe di una parola, un sentimento, una sensazione, una presa di posizione. Mi nascondo nel linguaggio, nel ritmo, nel tono. Viene fuori, insomma, il mio bagaglio espressivo, tutto quello che ho appreso dalla vita e dallo studio. Non ci crederete, ma perfino gli autori di romanzi di fantascienza infarciscono le loro opere di elementi autobiografici.
Poi, da uomo, non mi è stato facile mettermi nei panni di una donna, interpretare un mondo femminile che per me è inafferrabile, imprescrutabile, incantato… E mettiamoci anche magico!
Scrivere. Ma perché uno scrive. Fernando Pessoa, poeta portoghese, dice perché la vita non basta. Samuel Beckett, scrittore e drammaturgo irlandese, perché uno non è buono a nient’altro. Antonio Tabucchi, perché si ha paura della morte, o, al contrario, si ha paura di vivere. O perché forse si ha nostalgia dell’infanzia. Oppure per gioco, ma, non inteso come parole crociate o come gioco di prestigio: ma come un gioco serio, dove lo scrittore riversa tutto il suo mondo, senza il quale tutto sarebbe caos. E questo gioco molto serio dura finché qualcuno ti chiama e ti dice: dài, smetti, è pronta la cena
Per quel che mi riguarda, dietro alla fatica di scrivere si nasconde una qualche mancanza. Io ho qualche problema con la comunicazione di tutti i giorni, il linguaggio del quotidiano. Ho difficoltà, per es., a chiedere al fornaio di darmi un filo di pane. Si tratta di una mancanza, ovviamente. Sarà dovuto al fatto che al tempo in cui ero bambino, come tutti i bambini non avevo diritto di parlare, altrimenti botte; sarà che in cinque anni di seminario il silenzio era la regola e, contravvenire, significava andare incontro a varie punizioni, come essere privato del secondo a tavola, privato del gioco, privato del colloquio con i genitori una volta la settimana, privato del bagno a mare nella colonia estiva, eccetera eccetera. Sono abituato al silenzio e, guarda caso, sono finito a lavorare in biblioteca dove, si sa, il silenzio è la regola. Ma ho imparato ad amare il silenzio, specie in questo mondo assordante, e, quando non ne posso più, mi rifugio nella laringite acuta e, di tanto in tanto, lo specialista mi ordina 10 giorni di silenzio assoluto.
Che fare allora? Beh, se ci sono le mancanze, queste vanno riempite! Ed è da quando che avevo 11 anni che scrivo, dico poesie, suono, canto e, da lungo tempo ormai (cosa meglio di tutte), cucino prelibatezze salentine per Mina e per tutti gli amici che siedono al mio desco.
E allora: W LE MANCANZE!
Alfredo Romano


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Biblioteca Comunale di Soriano nel Cimino (VT
NEWS del 16 Aprile 2007 Grande attenzione ed emozione alla manifestazione di sabato 14 aprile . Il pubblico presente al Centro Anziani Sandro Pertini ha ascoltato rapito la lettura teatrale, le musiche e i canti di Elena Mozzetta per il libro "Amneris che morì di poesia". Alfredo Romano, che ha spiegato come è nato il desiderio di raccontare questa storia e la gestazione della sua scrittura, durata qualche anno, ha dichiarato che è molto meravigliato per il successo inaspettato di questo suo lavoro. Il pubblico ha apprezzato la qualità letteraria delle pagine lette ed anche il contenuto del romanzo, ambientato a Civitacastellana. Gli anziani si sono immedesimati in Amneris e i più giovani hanno potuto riconoscere sullo sfondo della storia di amore e di odio della fiera Amneris i racconti di come si viveva una - due generazioni fa nella nostra provincia, di come si faticava e si lottava per la sopravvivenza, della condizione media della donna del popolo, tutta lavoro, famiglia, sottomissione e nessun diritto a svaghi, istruzione, libertà

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