venerdì 30 novembre 2007

AMNERIS, CHE MORI' DI POESIA / testimonianze


Nardò, Besa, 2007
Disegno di copertina di Maria Berto











TESTIMONIANZE

Caro Alfredo, stanotte ho terminato di leggere Amneris: trama originale e coinvolgente, capacità interpretativa eccellente e sconvolgente, tenuto conto che sei un uomo che interpreta e caratterizza una donna. Ho pensato a tua suocera, la mamma di Mina, quando ho cercato di associare di fantasia la fonte della tua ispirazione. Forse a una sua parente. Mi svelerai tu il mistero, mia penna alata, intanto sappi che mi è piaciuto molto il tuo romanzo e la tua capacità di narrare in prima persona senza mai stancare nè ripeterti, con quella vena di realismo e dignità degna solo di un grande.
                                                                                             Raffaella Verdesca (facebook)
25.09.2012

__________________________________________________________________

Lettera [manoscritta] di Luna Cacchioli, universitaria

[Civita Castellana] Ore 15,45 / 31 dicembre 2006
Ciao Alfredo!
Lo so, penserai che è davvero insolita questa mia idea di scriverti una specie di lettera! Ma forse tu, più di me, sai che quando arriva dentro il bisogno di scrivere, non si può fare altro che cercare un foglio…
Ti scrivo perché ho appena finito di leggere il tuo ultimo libro e volevo innanzi tutto dirti GRAZIE. Grazie per avermi regalato dei momenti unici tra quelle pagine.
Quando ho deciso che avrei fatto la facoltà di Lettere, erano tanti i motivi, ma sicuramente uno dei principali era la convinzione della bellezza della lettura e della scrittura.
Un libro che si ama è come un mondo in cui ci si può rifugiare quando il mondo che sta intorno sembra un po’ scomodo…
Mi hanno fatta innamorare tanti libri ed il tuo è uno di quelli. È per questo che la prima cosa che voglio fare è ringraziarti di questo dono. È come un regalo, un regalo che fai a me e a tutti quelli che come me sogneranno tra le tue pagine. Non capita poi spesso di trovare un libro che racconti un pezzo della tua città, della tua famiglia. E credo tu abbia avuto una splendida ispirazione. La mia è una opinione come tante, ma per quello che posso dire…io credo che tu abbia tirato fuori non solo una vita, la storia di una vita, ma tutto l’amore che hai dentro…
Il tuo libro non parla soltanto di una morte di poesia, ma di un’intera vita di poesia, ed è dunque poesia esso stesso. L’ho letto tutto d’un fiato, come si dice! Tra stupore, curiosità, risate e poi commozione! Mi hai trascinato tra le emozioni di mia nonna e mi hai permesso anche di poterla ricordare non solo attraverso le tue parole, i tuoi pensieri, la tua poesia. Il romanzo di una vita. Ti mando un bacione e sono certa che le tue parole resteranno nel mio cuore e in tanti altri. Ti voglio bene,
Luna
___________________________________________________________________

Lettera [via e-mail] di Fabrizio Scarponi, laureando
Civita Castellana, 24.01.07
Salve Alfredo,
dopo pranzo Gigi Cimarra [il prof. che presenterà il libro e che ha preparato una recensione] mi ha prestato "Amneris, che morì di poesia"; devo fare la scansione della copertina per la Gazzetta Falisca [mensile del luogo]. Ho iniziato a leggerlo e l´ho fatto tutto d´un fiato, ho smesso un paio di volte, per un pezzetto di crostata e per guardare la grandine.
L´ho trovato bello, intenso, la trama è un crescendo di emozioni con fremito finale. E che bella lingua il civitonico! Scorre che è una meraviglia. Io scriverei sempre così. "Parla come magni" si dice: e perché no "scrivi come parli"?
Purtroppo è raro poter ringraziare uno scrittore, sia perché non s´incontrano sempre bei libri e soprattutto perché non si riesce ad avere un contatto diretto con l´autore. Fortunatamente questa volta posso farlo: grazie, grazie davvero!
Complimenti,
Fabrizio
______________________________________________
Lettera di Elisabetta Forte, funzionaria Beni Culturali Regione Lazio

Roma, 10 giugno 2007

Carissimo Alfredo,
spero che mi perdonerai il ritardo con cui scrivo queste poche righe (dopo averle annunciate!) sulle emozioni che la lettura del tuo romanzo mi ha provocato, che, va detto, mi è piaciuto tantissimo, proprio tantissimo!
E' un libro in cui sono entrata piano, per poi aderire, senza condizioni, al vissuto dei personaggi.
Mi è piaciuto e mi ha colpito la scelta dei luoghi, che forse è anche il tuo appartenere, oggi, un po', anche alla terra viterbese, senza escludere ed eludere le origini e la provenienza.
E poi lo scrivere per una donna, alla maniera di una donna, mi ha fatto sentire Amneris vicina, intrigante, interessante e semplice. Maschia, ma mai maschile, vera, senza esasperate modernità impossibili nel suo contesto.
E poi che bello ritrovare il gusto della favola, come deve essere per i piccoli e non solo, in una rete di vissuto e di fantasia, da cui si esce e si entra senza ostacoli, ma anche senza bugie su quella che è la realtà.
un caro saluto e grazie (e aspetto di leggere presto il prossimo!)

Elisabetta
________________________________

Elena Mozzetta sulla Voce di Viterbo l'8 feb. 2008. Nella foto legge allcuni brani di Amneris al Centro Anziani di Soriano nel Cimino.

E-mail di Elena Mozzetta, attrice e regista di teatro

13 aprile 2007
Gentilissimo... Romano,
ho finito di leggere il suo libro "Amneris, che morì di poesia" per la
lettura da fare il 14 aprile a Soriano presso il centro anziani e mi
farebbe piacere prima confrontarmi con lei per la scelta dei passi.
Mi ritorna alla mente un mondo a me famigliare: il paese, gli odori dei
campi, la musica popolare, le storie dei miei nonni...
Forse sarà il caso di vederci se non le costa tempo.
Mi farò sentire telefonicamente
Elena

_____________________________________________
E-Mail di Maria Grazia Dandolo, bibliotecaria di Valentano
16 otobre 2007

Caro Alfredo,
ho comprato il tuo libro per la biblioteca e posso dirti che chi lo ha letto lo ha gradito molto. Io devo riconoscere che non ho ancora avuto il tempo di leggerlo, ma non disperare.
Un abbraccio forte
Maria Grazia

___________________________________________
Lettera manoscritta di Giorgio Mario Bergamo, scrittore di Mestre (Venezia).
Ha pubblicato con Einaudi, Cappelli e Mursia.
24 gennaio 2008

Caro Alfredo,
mi rallegro vivamente per "Amneris, che morì di poesia" e che ho letto tutto d'un fiato tanto mi è piaciuto il tuo uso del romanesco così elegante da apparire diretta manifestazione di una discendenza... latina. E anche il volume sulle tradizioni e storie salentine mi sembra ottimo, equilibrato, gustoso, capace di proiettare il lettore in una full immercion fin nei meandri di quelle vite di provincia profonda che tu [...] rappresenti dal vero. Tutto il nostro...
Giorgio Mario Bergamo

_________________________________________
E-Mail del 28 gennaio 2008 da Andrea Moroni, insegnante e musicista di Arcugnano (Vicenza). Andrea, negli anni '60-'70, faceva parte del complesso, rinomato allora, dei "Nuovi Angeli".


Caro Alfredo
"Amneris" mi è molto piaciuto ma già ti conoscevo come scrittore e amico e non avevo dubbi.
Un bacio a voi da parte di tutti noi

Andrea

__________________________________________
From: Faudella Giorgio 
To: affretu@alice.it
Sent: Wednesday, September 16, 2009 8:14 PM
Subject: Amneris, che morì di poesia
/
Salve Alfredo,
sono Giorgio di Modena. Ho avuto il piacere di leggere Amneris che morì di poesia. Volevo farLe sapere che ho trovato il libro una romantica cavalcata attraverso un'intera epoca che ormai si è estinta; è stato istruttivo percepire lo stile di vita che realmente hanno vissuto sulla propria pelle i protagonisti di un'epoca che a distanza di poche decine di anni si è completamente rivoluzionata. Nonostante le difficoltà economiche dell'epoca però trasuda una inevitabile essenzialità e praticità che il mondo di oggi ha perso completamente. Mi è piaciuta la positività e la cocciuta determinazione di questa eroina che si esprime con un colorito e romanesco accento. Ho apprezzato l'originalità della trama e della maniera di farla raccontare dall'aldilà... Il Suo modo di scrivere mi ha "tirato dentro la storia" mi sono sentito come il cameraman che riprende la scena in diretta ed è testimone degli avvenimenti che si svolgono. Non mi è capitato spesso.
Complimenti ancora e ringrazio per il bel viaggio che mi ha offerto in compagnia di Amneris.
Cordialmente
Giorgio Faudella
___________________________________________________
Recensione di Luigi Cimarra apparsa sulla Gazzetta Falisca di Civita Castellana, sul Galatino di Galatina e su Biblioteca e Società di Viterbo nel 2007

L'ultima fatica letteraria di Alfredo Romano, "Amneris, che morì di poesia" (Nardò, Besa Editrice, 2007) è comparsa alla chetichella, senza clamori. Ma è bastato il passaparola per fare diventare il romanzo un caso letterario a Civita Castellana, dove, almeno 250 copie, sono state già vendute. E sì, perché il libro si scorre tutto d'un fiato. I motivi sono diversi: intanto si tratta di un romanzo breve (107 pagine in tutto), potremmo definirlo di genere biografico; la protagonista unica (ma il romanzo non è un monologo) è Amneris, una donna civitonica; lo strumento linguistico adottato è l'italiano parlato dove affiorano voci dialettali.
La vicenda avvince, perché l'io narrante è la donna stessa, che partecipa il suo vissuto, si dedica al suo lettore-ascoltatore con passione e passionalità. Ma queste osservazioni sintetiche necessitano di alcuni chiarimenti: Romano, che è civitonico di adozione e di elezione, non ha inteso scrivere una biografia in senso stretto, né ha avuto ìn mente, come modelli eventualmente da imitare, opere più note di questo genere letterario.
La trama narrativa è lineare, in sintonia con il personaggio, non opera forzature, non lo trasfigura o idealizza, ma ne coglie l'essenza, i sentimenti, gli affetti e le aspirazioni. A mio avviso uno dei pregi maggiori del romanzo è quello di non aver caricato né il personaggio, facendone un paradigma o una donna engagée ante litteram, né la lingua, inserendo preziosismi letterati o, per altro verso, espressioni icastiche (frasi idiomatiche, dialettismi desueti, citazioni di proverbi e detti, riferimenti insistiti ad usi e costurni tradizionali) per caratterizzare la donna e il contesto sociale.
La forma è quasi un italiano regionale. Suppongo che, per conseguire questo risultato, Romano abbia sottoposto il testo ad un lungo ed assiduo lavorio di vaglio e selezione. Non si tratta dunque di un ibrido linguistico, ma di un impasto organico, lievitato dalla fantasia. E' dunque pane buono. I civitonici avranno la sorpresa dì ritrovare luoghi a loro familiari, scorci di paesaggio, riferimenti a spazi cittadini, dove la vicenda si svolge e dove loro quotidianamente si muovono. Riconosceranno nella protagonista una dì loro, vi ritroveranno se stessi. Amneris è una donna del popolo, ha un intelligenza pronta, ama la vita, ama la poesia, ama l'amore, il 'suo amore', l'uomo che ne segna nel bene e nel male il destino, che è il suo sole e la sua ombra scura. Non si tratta di un'eroina, ma di una donna in carne ed ossa, istintiva e spontanea, di tempra forte e tenace, capace di reagire alle difficoltà, alle vicissitudini, piena di slanci, che non si arrende mai.
E' portatrice, seppure non sia religiosa, di valori etici: il lavoro e la famiglia, la dignità dell'essere umano, il senso di giustizia, la fedeltà al suo uomo, di cui è innamorata fino ad odiarlo, quando subisce il tradimento. Ma lei non cessa, per tutta la vita, di amare la poesia, la ama con avidità e desiderio: ascolta e legge, impara e ripete, nonostante la sua condizione sociale, come avveniva un tempo in tutte le famìglie povere, le avesse impedito di portare a termine la scuola elementare. Soprattutto insegue un canto, quel canto che aveva sentito recitate nel vicinato da un poeta girovago, un componimento di Lorenzo Stecchetti, alias Olindo Guerrini, II canto dell'odio. Certo, odio e amore... due sentimenti consecutivi. E il componimento diventa quasi l'emblema della sua vita e... della sua morte.
____________________________________________________
Presentazione “Amneris, che morì di poesia” sabato 17 marzo 2007
Sede dell’Upte (Università popolare di Viterbo)
Relatori: il prof. Luigi Cimarra di Civita Castellana e l'avv. Carmelo Ratano di Viterbo.
Coordinatore: il prof. Quirino Galli di Viterbo
[Traccia discorso di Alfredo Romano]
Ero lì quella sera quando Amneris, prima di lasciarci per sempre, ci salutò con una lunga poesia. Ricordo la forza, il tono, il ritmo con cui ce la recitò. Erano presenti tanti bambini quella sera: erano i suoi nipoti che, come tutti i bambini, erano stati vocianti e irrequieti durante la cena, ma, quando Amneris iniziò a declamare, anche loro si zittirono, come ipnotizzati dal prodigio della poesia che come onda impetuosa travolgeva la quiete di una sera.
Non ho dimenticato. Promisi che avrei dovuto renderle omaggio un giorno. Quell'omaggio è arrivato. Amneris era una madre di famiglia come tante altre, di quelle mamme che avevano tirato su i figli e il marito in silenzio, rassegnate alla loro sorte e al loro ruolo di abnegazione; di quelle mamme che avrebbero meritato un monumento in piazza e che non l'hanno avuto mai solo perché, magari, non hanno fatto il soldato e non sono potute morire per la patria. Sono state eroine tra le pareti domestiche, però, nell’attesa di vedere i figli sistemati. Ai figli non auguravano di diventare ricchi, ma il necessario: un buon lavoro, un buon matrimonio, essere contenti e vivere in armonia con la propria famiglia.
Il libro l’ho cominciato a scrivere a mano un’estate di quattro anni fa, al mare, a Diamante. Lì non avevo il computer. Avevo iniziato a scrivere in terza persona, in lingua italiana, ma dopo qualche pagina, rileggendo, capii che così non andava, non mi dava l’idea di un racconto popolare che avevo in mente di scrivere. Ero in panne, qualche giorno di smarrimento, poi: ma che stupido, mi sono detto, faccio raccontare ad Amneris stessa la propria storia. E così è stato. Ma dal momento che, scrivendo, ascoltavo la voce di Amneris, è stato spontaneo farla raccontare in dialetto. Non un dialetto strettamente civitonico, però, ma un dialetto un po’ cinematografico: tra l’italiano, il romanesco e il civitonico. Insomma mi sono inventato un linguaggio per Amneris, ma sempre al fine di dare al suo raccontare un tono popolare.
Ma tono popolare, per chiarirci, non significa che per me sia stato più facile. L’uso del dialetto mi ha costretto a limitare in qualche modo il bagaglio espressivo che uso quando scrivo in italiano. Perciò ho dovuto puntare su un linguaggio parlato (apparentemente parlato), con un ritmo narrativo ed espressioni di genere che potessero essere di grande efficacia.
Adesso potreste dirmi: Ma tu sei un salentino, come hai potuto fare! Avete ragione, io non parlo il dialetto civitonico, ma, se permettete, lo ascolto da 40 anni quasi, quindi è una lingua familiare per me ormai, anche se non ho la padronanza che hanno i civitonici, per non dire quella del mio sodale Luigi Cimarra che non si è tirato indietro nel risolvermi più di qualche dubbio.
Ho impiegato quattro anni a scrivere il libro. Non ho mai fretta di pubblicare quando scrivo, lascio sempre decantare la bozza per qualche tempo e, quando la riprendo, riesco a osservare il mio lavoro con distacco, a osservarlo con gli occhi di un altro. I libri sono come dei figli, hanno una gestazione anche più lunga. Io, quando scrivo, mi flagello, è un continuo limare e limare, non sono mai soddisfatto. Poi, un bel giorno dico: adesso è proprio bello! E lo licenzio.
Ma io non so essere manager di me stesso. Ho pubblicato libri che non hanno goduto di una presentazione, semplicemente perché non mi sono dato da fare. Ho come un po’ di pudore. Per gli ultimi due libri, è stato il mio sodale prof. Cimarra a propormelo e io ne sono stato felice. Per non dire che la presentazione di oggi è stata un’idea del prof. Quirino Galli, persona che stimo e conosco da tanti anni, da quando, un 30 anni fa, venne a intervistarmi sulla storia e la condizione dei salentini di Civita Castellana.
Il 14 aprile prossimo ci sarà un’altra sorpresa: un’attrice di teatro, Maria Elena Mozzetta, leggerà in pubblico, a Soriano, alcuni brani di Amneris. Le è capitato di leggere il libro per caso e le è nata l’idea.
Ci vuole molta umiltà quando si scrive, vivere la storia che man mano si dipana, farsi venire la febbre, uno stato di grazia, amare i personaggi che stai creando, anche quelli che sembrano negativi, che, in fondo, sono sempre tue creature: come un padre che non disdegna di amare un figlio scellerato.
E, se volete, in ognuno dei personaggi della storia di Amneris, c’è un po’ di me: mi nascondo tra le pieghe di una parola, un sentimento, una sensazione, una presa di posizione. Mi nascondo nel linguaggio, nel ritmo, nel tono. Viene fuori, insomma, il mio bagaglio espressivo, tutto quello che ho appreso dalla vita e dallo studio. Non ci crederete, ma perfino gli autori di romanzi di fantascienza infarciscono le loro opere di elementi autobiografici.
Poi, da uomo, non mi è stato facile mettermi nei panni di una donna, interpretare un mondo femminile che per me è inafferrabile, imprescrutabile, incantato… E mettiamoci anche magico!
Scrivere. Ma perché uno scrive. Fernando Pessoa, poeta portoghese, dice perché la vita non basta. Samuel Beckett, scrittore e drammaturgo irlandese, perché uno non è buono a nient’altro. Antonio Tabucchi, perché si ha paura della morte, o, al contrario, si ha paura di vivere. O perché forse si ha nostalgia dell’infanzia. Oppure per gioco, ma, non inteso come parole crociate o come gioco di prestigio: ma come un gioco serio, dove lo scrittore riversa tutto il suo mondo, senza il quale tutto sarebbe caos. E questo gioco molto serio dura finché qualcuno ti chiama e ti dice: dài, smetti, è pronta la cena
Per quel che mi riguarda, dietro alla fatica di scrivere si nasconde una qualche mancanza. Io ho qualche problema con la comunicazione di tutti i giorni, il linguaggio del quotidiano. Ho difficoltà, per es., a chiedere al fornaio di darmi un filo di pane. Si tratta di una mancanza, ovviamente. Sarà dovuto al fatto che al tempo in cui ero bambino, come tutti i bambini non avevo diritto di parlare, altrimenti botte; sarà che in cinque anni di seminario il silenzio era la regola e, contravvenire, significava andare incontro a varie punizioni, come essere privato del secondo a tavola, privato del gioco, privato del colloquio con i genitori una volta la settimana, privato del bagno a mare nella colonia estiva, eccetera eccetera. Sono abituato al silenzio e, guarda caso, sono finito a lavorare in biblioteca dove, si sa, il silenzio è la regola. Ma ho imparato ad amare il silenzio, specie in questo mondo assordante, e, quando non ne posso più, mi rifugio nella laringite acuta e, di tanto in tanto, lo specialista mi ordina 10 giorni di silenzio assoluto.
Che fare allora? Beh, se ci sono le mancanze, queste vanno riempite! Ed è da quando che avevo 11 anni che scrivo, dico poesie, suono, canto e, da lungo tempo ormai (cosa meglio di tutte), cucino prelibatezze salentine per Mina e per tutti gli amici che siedono al mio desco.
E allora: W LE MANCANZE!
Alfredo Romano


______________________________________________________
Biblioteca Comunale di Soriano nel Cimino (VT
NEWS del 16 Aprile 2007 Grande attenzione ed emozione alla manifestazione di sabato 14 aprile . Il pubblico presente al Centro Anziani Sandro Pertini ha ascoltato rapito la lettura teatrale, le musiche e i canti di Elena Mozzetta per il libro "Amneris che morì di poesia". Alfredo Romano, che ha spiegato come è nato il desiderio di raccontare questa storia e la gestazione della sua scrittura, durata qualche anno, ha dichiarato che è molto meravigliato per il successo inaspettato di questo suo lavoro. Il pubblico ha apprezzato la qualità letteraria delle pagine lette ed anche il contenuto del romanzo, ambientato a Civitacastellana. Gli anziani si sono immedesimati in Amneris e i più giovani hanno potuto riconoscere sullo sfondo della storia di amore e di odio della fiera Amneris i racconti di come si viveva una - due generazioni fa nella nostra provincia, di come si faticava e si lottava per la sopravvivenza, della condizione media della donna del popolo, tutta lavoro, famiglia, sottomissione e nessun diritto a svaghi, istruzione, libertà

________

giovedì 29 novembre 2007

POESIE DEDICATEMI

CORRI MI CHIUDO NELLA TERRA
Corri
mi chiudo nella terra ad ascoltare 
su me col carro del silenzio
la tua voce e il solito affanno dello sguardo
che passa come un bel vento
Resta
ho tolto l'ago della notte
ai pensieri e rotto un segreto e dolcissime paure
pioggia, pioggia è lo sguardo
e trame di desideri

Al fondo anche lontanamente
un sordo e un pianto
sento e una vaga giovinezza
e un canto forte è l'odore dell'abbraccio amico
corri e resta
Il sogno della vita, replica
di giovinezza, il canto
e la carezza della morte

Amedeo Martorelli
1980
IL TEMPO E' TRASCORSO
Il tempo è trascorso
non ne ho memoria
è stato un tempo appassionato
gli anni come paesaggi mirabili
ai quali non s'accede
lontani tutta la luce
di questo antico giorno di primavera
mi pulsano aperti i miracoli
dell'amico che ci sorrideva la sua fine
continuando ad offrirci da vivere
da amare senza attendere
per la morte io non avrò memoria
per l'amico che resta
avrò la prima allegria
il primo pensiero vero
l'esordio vitale del sentimento
verso la vita scostata da riflessi
dentro ferma ad attendere è trascorsa
l'estinzione: in numerose
moltiplicazioni d'affetto.
Amedeo Martorelli
11/4/1981
______________________________________________

Tu che dall'estrema contrada della Grecia vieni ove l'olio abbraccia lembi intatti di cielo o carezza diviene d'argento nell'alito del vento marino, sappi che io sono germinato dal grembo profondo della terra, dalle pur innumerevoli zolle come onde del mare.
E se tu intoni sulle corde sonorità antiche per incantare di sogni le stelle io racconto l'ilare ironia del fanciullo nato vecchio.

Luigi Cimarra
Civita Castellana, 16-03-1999
(Dedica di Luigi sul suo volume per me, Mazzabbubbù, edito dalla biblioteca comunale di Civita Castellana)
___________________________________________

LA LUNGA DIRITTA STRADA FENDE LA CAMPAGNA

La lunga diritta strada fende la campagna
Inondata d’ ulivi lucenti, nel blu
E nel giallo del sole cocente
Che schiaccia la terra e i colori.
Calore dell’aria, immobile densa,
incessante il frinire, furiose cicale impazzite.
Il mare è lontano, laggiù.
A mezzo comunque il paese, le case.
La casa: la tua.
Lì sei nato, per primo, poi tutti i fratelli.
Ora vivi lontano e ritorni, legato a questa terra,
d’ estate, ogni tanto.
Quale segno ho lasciato per te, viaggiatore del tempo,
Dai ricordi orgogliosi e canzoni e ballate?
I tuoi, io l’ ho colti. Sono anche i miei, ora.
Così pur io mi scopro navigatore.
E mi piace.

Maurizio Ferrari
Salento, agosto 2008


Ho visto il filmato,
cantavi, suonavi la chitarra
e son passati vent’anni!
Molti, in un sol soffio…
Eri giovane, e bello,
squillante ferma la voce,
forza, sicuro il futuro.
Mi son rivisto, io pure
giovane e bello,
risospinto indietro
nel tempo e lo spazio.
Ma oggi, perduta immortalità
ci riscopriamo migliori
più felici.
Non lo siamo?
Maurizio Ferrari, Brescia 2009
__________________________________________


POESIE INEDITE



EPITAFFIO



(Trovato sulla copertina del mio assemblato
manuale di spartiti. Scritto chissà quando.)

Alfredo Romano
nato a Collemeto di Galatina
3 marzo millenovecentoquarantanove
6 dichiarato causa neve forza nove
leccese emigrato in quel di Civita Castellana
giugno millenovecentosessantacinque
esercitando anzi il tabaccaro
poscia bibliotecar(i)o
per invano i civitonici istruir
morir di fama anziché
con queste eterne canzon
(dis)annoiava se stesso
(dis)accorava gli amici
mentre a udir si prestavano
canzoni sue e non sue
alfin soltanto sue
tale il modo
l’inventar
l’atteggiar
modular
strumentar che facea
moroso
della voce amena
e il sorprendere
il sedurre
sì che le donne
in specie profferivan:
Colei beata
che il respir ne coglie
e l’amor:
a noi sol le note
ne prescrisse il fato


Civita Castellana, 1979?




MA PERCHE'


(Testo per una musica del
mio amico Giuseppe Maniglio)

Prendimi una notte ancora
nel tuo letto d'illuisioni
di giochi
pudori
non ti chiedo di sposarmi
forse neppure d'amarmi
però non so
come può il vento
spazzar l'amore all'improvviso
anche la nebbia
sull'ultimo sorriso
ma perché
ecco sì
volevo fare di te
una donna
regina d'un regno lontano
di sogni perduti e ribelli
d'eroi tristi ma belli
ma perché.
Miti raggi alla finestra
dolce sento una carezza
amor
amor
non c'è neppure un amico
proprio un romanzo finito
però non so
come il tuo viso
mi brucia ancora tra le mani
e canto con te
l'amore di domani
ma perché
è vero che
io sono un uomo lo so
che ti ama
ma non sa vivere ormai
non ho che da darti le pene
d'un bimbo che ti vuol bene
ma perché.


Civita Castellana, ottobre 1983


MAGGIO IN PROVA DI SONETTO

Ecco maggio s'indora il sol sui muri
e le selvagge rampicanti rose
s'avanzan negli anfratti simil spose
timide tra rovi e fichi impuri.


Cinguettan nidi d'uccellin futuri
bachi sementi grano e picciol cose
imbeccan lor le memme premurose
nei pertugi sicur dei vecchi muri:


Allietan il frastuon i gai micini
frugan ognor il sen di gatte estrose
coccole fusa e baci fino a sera.


Fendon l'aere azzurro i rondinini
si libran le farfalle più festose
mi coglie amor: so già ch'è primavera.



Civita Castellana, 20 maggio 1990


GARD DE LYON

Parigi-Roma
ier sera ho perso il treno
ce l'avevo messa tutta
ero pronto dal mattino
ho implorato taxi
sfidato pioggia
semafori ingorghi
sciatiche e dolori
la valigia quasi Atlante...
Non ce l'ho fatta per soli tre minuti.
Forse qualcuno non vuol che torni.
Forse qualcuna.
Neanch'io vorrei tornare.
Così il cielo ieri mi dava giusto una mano.


Parigi, maggio 1991


PASSI T’ATTENDONO SEMPRE

A Loredana

Passi t’attendono sempre
ai bruniti lampioni di sera
sfavillan gli occhioni
tuoi belli che sole non fece
due lune piuttosto
lontane
strali mai visti d’amore.


1994


NEL GIARDINO DI PAPÀ
A mia madre

Nel giardino di papà
sogno dei copiosi frutti
il tuo amor ritrovato
che rimpianto mamma
parole ci insegnasti
più grandi di te
gesti e pensieri
donare senza pretese
soffrire senza mai dire
domani fra le tue albe
svegli di già
le belle tue albe
che più non sanno
di cupi tramonti


Collemeto, 10/10/1994
(tre giorni dopo, per il ricordino funebre)


LA MONETA ROMANA
(In regalo a Loredana in sposa a James di Londra)

Ti porta voci
la moneta romana
umori di tua terra feconda
rumori di secoli
tepori di ataviche mani
lavorate di Storia.


Ti porta l’amore sazio
la moneta romana
nello scambio del pane
Costantino diarca
d’appuntarsi felice
ora sul tuo
bel corpo di donna
in fuoco di passioni
gioie dai tempi remoti
fortuna al di là dei confini
il Re che cercavi da sempre


Civita Castellana, 28/5/1996


BALLATA DEL TEMPO CHE CANTAVO


Cantavo un tempo
sui sagrati delle chiese
lunghe veglie di pace
rivoluzione un sol paese
l’ira sfidando forse invidia
dell’Io che m’alzo presto
bigotte per non dire
bempensanti non s’intona
il Credo Tantum ergo
col Sol dell’Avvenire.



Cantavo non gradito
fin dentro le caserme
avanti il gran partito
ci piacciono le bande
i Tupa delle Ande
giocare con la guerra
su questa bella terra
lasciatemi gridare
è proprio una viltà
un compagno non ci sta.


Cantavo più accorato
sulle spiagge innamorato
di notte al chiar di luna
lambito dalla schiuma
dell’onda di battigia
le fiamme d’un falò
girotondo perché no
di pazze belle donne
di quelle del ti amo
sono certa ma non so.


Cantavo delle voglie
accese in una sera
gli sguardi un po’ coglioni
nei lampi dei tizzoni
botti strambotti e ritornelli
cantavo il grande amore
come in tele d’acquerelli
ritmi pizziche e tamburi
danzavo alle tarante
come in certi giorni scuri.


Cantavo per serate
intonate all’allegria
le feste degli amici
parenti e chicchessia
giullare aedo e festaiolo
a richiesta nel ruolo di Cupido
per la coppia che all’angolo tubava
dài buffone un’ultima canzone
bevi c’è del vino
fallo per l’amore.


Or più spesso canto ormai
per passi d’una donna
che mi s’affaccenda accanto
un motivo la solita canzone
lo spartito sempre più sdrucito
la chitarra senza più gazzarra
quand’ecco all’improvviso
il mare s’accorda con re sesta
fa sol
con amara terra mia
in mezzo al blu la casa di Maria...


Un brivido mi corre
per la schiena
leggera una breve
commozione
un caro finalmente
dolce pianto
e tutto senza un grammo
di finzione
per grazia che all’uso delle quinte
davvero non mi serve far l’attore.


Itaca, luglio 1996


L’ALBA

Mi hai sorpreso all’alba
in fremiti di mani
poi il brusco risveglio
in un frastuono di uccelli
il canto dell’usignuolo
il grido dell’upupa nella notte
sono ricordi lontani.


Oggi m’attende il sole più caldo
i baci mi stanano il cuore
uno cento mille
la tua bocca ha sapore di pesca.


Canterò tutta la notte
voglio gli uccelli sul tetto
tutti
come farei senza l’upupa triste?
Sei la notte sei il giorno
ti ho nel sangue da sempre.


Peloponneso, 1997


RISTORANTE MALVASIA


Al ristorante Malvasia
uno chef un po’ distratto
m’allunga tutti i giorni
s’un piatto bianco ovale
un’amante non c’è male.



In posa da odalisca
i seni in bella vista
mi lancia un tal sorriso
sì raro sì esplosivo
che in sella ad una scheggia
dico: se questa non è reggia!


Sogno oppur son desto
hai degli occhi mia regina
d’una sclera così bianca
che ti splende la pupilla
con un fare da bambina.


Trepida la mia mano
s’accosta sul tuo viso
a sfiorar due labbra rosse
di che porta paradiso
mosse schiuse nella brama.


Ben cotta la tua pelle
rosata quanto basta
odora di che femmina
profuma che è uno schianto.


Lo sguardo corre al pube
oh rosa nel bicchiere
pud
ìca la tua mano
nasconde qual mistero
l’amore si fa dolce
l’amore si fa piano.


La mia bocca sui tuoi lobi
è l’inizio di una danza
di sussurri e di parole
di gemiti e sospiri
di note del profondo
chissà di quale mondo.


Si vena la tua gota
di giubilo e languore
or pallida t’infiammi
felice t’abbandoni
la chioma ti scomponi.


Umida sei tutta pazza pazza
eccolo! urlo approdo di animale
scagliati in un mare di turgore...
ma io son qui che piango
non piango che d’amore.


Peloponneso, 1997

ELENA

S’attarda la luna stasera
levarsi sul mare di Grecia
lento incamminarmi su ciottoli
che a riva sull’onda scagliati
i miei gemiti increspano d’amore.


E t’invoco, Elena, tristi
ho presagi nel cuore
e grido e t’imploro
ché m’oda lassù per dirupi
la cara mia bella Afrodite
corri Elena! Elena! Io
un mazzetto ho da porti di macchia
d’iperico dai bei fiori gialli
unguento per malanni d’amore
a Cìpride d’olezzo graditi
dea che dispensa la brama...


Coglila! E’ meglio d’ambrosia
e salta sul primo naviglio
furtiva avanti il chiaro di luna.
Elena ti chiami
da sposo fuggiasca
regale di stirpe
audace guerriero
ma t’inseguono figli
passerotti lo so...


Non ho artigli ben io
a difesa d’un nido?
E son buffo e ti canto
sarà festa ogni sera
e ti salto e ti danzo
e ti mangio e ti bevo
e bottiglie ti stappo
per un’unica cena
allorché t’amo t’amo
mia gioia mia pena.


Dopo Sparta, in riva all'Egeo, luglio 1997


IL TUO SGUARDO NELL’AMORE

Il tuo sguardo nell’amore
è l’affresco mai trovato
di una pizia posseduta
già descritto in vecchie carte
nascosto in un giardino
d’una villa dei misteri.


Il tuo sguardo nell’amore
è la mappa di un tesoro
che da secoli per mari
rotola sull’onde
in vista d’un veliero
un pirata ormai alla fine

l’affidò dalla Tortuga
a un piacere di bottiglia
una volta di gran rhum.


Il tuo sguardo nell’amore
l’ho scoperto a notte alta
confuso tra le note
di cento e più spartiti
due occhi come crome
mi danzavano davanti
tutta l’anima a rapirmi
e i sensi tutti quanti.


Il tuo sguardo nell’amore...
io che cerco il bello ovunque
non mi viene un paragone
col tuo sguardo
il tuo sguardo nell’amore


Mare Itaca, luglio 1997


ASPETTA


A Dante, amico mio e poeta,
che il 30 gennaio 2000
ha voluto dare il suo addio alla vita
e... neanche un saluto, un saluto almeno.


Aspetta,
t'ho visto salire sul carro della notte

briciole di sogni avevo in serbo per te

per tracciarti, amico, la via del ritorno

il tuo sguardo… volta il tuo sguardo

bagliori mai visti fendono il tramonto

oh sì, ti valeva per bearti d'immenso

tu che sapevi imbrigliare la luce

e regalarla a tutti in un pugno di versi.



Aspetta,
ti sei svegliato sul ciglio del burrone

la linea d'ombra, ecco, volevi misurarti…

ma ora la mano, tendimi la mano

scuoti la terra in grida accorate

urla al vento il tuo bisogno d'amore

piangevano, sì, anche gli eroi

Ulisse perfino la donna implorando

su rive lontane in lai disperati.



Aspetta,
ci attendono ancora passi a far notte

tra i verdi filari del nostro tabacco

d'amori a ragionar, di vino e poeti

di belle canzoni che cambiavano il mondo

di terre infeconde che fiaccavan la schiena

del sudore dei padri che assolava le facce

di olio e di sale su un pezzo di pane

che bastava, magari, per capire la vita.



Civita Castellana, 14 febbraio 2000



PRIMAVERA

Attendo nella notte attendo
dileguarsi nell’orrido
il verso dell’ultima civetta
presagio di morte non più
da quando primavera
in bagliori rosa si svela
dal bel monte oraziano[1]
nell’aria di fresca rugiada.


M’avvio sul presto mattino
nel via vai d’ignari passanti
tra fasci di dardi in raggiera
tra gemme di lento germoglio
e mi prende ogni volta tremulo
quell’inquieto moto dell’anima
per la donna dagli occhi lucenti
che m’agita il sonno e la veglia
in desideri di strette e di baci
tenerezze in carezze di carne
in amplessi di gemiti e sospiri.


Sono incauti flutti di sangue
queste gemme d’amore sul corpo.
Non s’ingemma la quercia secolare?
Non insegue il rondone la compagna?
Mi viene nel dolce abbandono
rapirla da miei foschi pirati
prigioniera sulla nave all’attracco
e spinti sull’oceano al largo
invocherò la clemente Afrodite
che caparbia
m’indusse
nella brama.

[1] Il Monte Soratte sulla Flaminia, a pochi km da Civita Castellana.
Civita Castellana, 15 aprile 2005
_______________________________________

LE QUESTIONI CON CLAUDIO CAVALLIERI di Calcara di Crespellano

La poesia scherzosa che segue nasce invece da una disputa tra me e l'amico Claudio Cavallieri, un emiliano di Crespellano. Successe che Maria Fabiani, sorella di Mina, la mia compagna, una volta (si stava in gita a Ravenna) ci offrì un torrone fatto di nocciole e cioccolato, ma lui disse che no, che non si poteva chiamare torrone, ma solo barra di cioccolato e che solo i centro meridionali erano adusi a chiamarlo tale: torrone, insomma, per lui era solo quello bianco. Inutilmente gli sfoderai vocabolari e la Treccani perfino, Claudio non si mosse dalla sua posizione. Sicché gli mandai questo scherzo in versi.


CON TORRONE E CIOCCOLATA SI FA LA MARMELLATA



Caro Claudio, vorrei dire del mio stivale
chi ti scrive è un centro meridionale
che scherzosa t'invola una rampogna
di quelle che occorron alla bisogna.

Co' 'sta storia di torroni e torroncelli
ti fa gioco darci nei fondelli
se è vero che manco la Treccani
ti fa ragionar, vorremmo, a quattro mani.

E' che non hai capito la questione
non si tratta di fattura del torrone
questa resta e niuno te la tocca
a scanso d'indignar palato e bocca.

E' la lingua sol da scomodare
da che mondo è mondo sempre in alto mare
il popolo tu 'l sai fa spesso piroette
anzi un poeta disse alle colline che son tette.

Se nell'uso entra il "torrone al cioccolato"
sarà distorto, ma va per legge registrato.
In origine, certo, fu la forma della stecca
a decretare del torrone la disdetta.
Si disse: 'sto torrone è poco coccolato
facciamone uno al cioccolato.

Ti fa torto dir poi: la Treccani non si aggiorna
vuol dir che l'uso è da anni che si sforna
perfin sulle riviste del tuo caro nord
si scrive: torrone al cioccolato solo per i Lords.

Claudio, che fai: t'arrendi o t'infilzo?
ma già ti sento dir: ueh, ciuco, ché son smilzo?
già dalla Maria salivi sugli specchi
fichi e mandorletti come fosser robivecchi.

Riverisco però la tua difesa a oltranza
ché di fantasia ne sforni in abbondanza
l'intelligenza più l'ostinazione
è un bel gioco che ti fa onore.

Ma allora qua la mano, ammetti d'aver torto
fallo in allegria e la cosa è bell'in porto
e non aver paura: non sono Maramaldo
mi chiamo pur Alfredo, ma per rima faccio Aldo.

Ravenna 08/01/2000

Alfredo Romano

Avevo sostenuto che nell'opera di Mozart solo il Flauto magico fosse stato scritto in lingua tedesca. Mi sbagliavo e così Claudio mi canzonò in versi. E qui la mia risposta.

__________________________